E’ una storia triste, una storia di morte. Chi scrive ha avuto la sorte di conoscere il protagonista di questa vicenda quando la sua vita ormai lo abbandonava; ha letto alcune note di un diario che testimoniano la ricerca di un aiuto nella fede e l'ultimo tentativo di liberarsi da una schiavitù che per anni lo aveva oppresso. Ne ha provato una grande commozione ed ha sentito il desiderio di scrivere questa testimonianza affinché possa essere un monito per i giovani, un conforto per i genitori ed una speranza per tutti, poiché anche dall'abisso più profondo si può risalire alla luce.
Decidendo d'andare in Brasile, Franco si rendeva conto che non avrebbe risolto il problema della sua vita; era un desiderio di evadere da un mondo in cui sentiva di non aver più via di scampo, era un tentativo di fuggire dalla realtà che lo imprigionava. Quindici anni prima, quando aveva solo diciott'anni, aveva venduto la sua vita per una polvere bianca. Aveva creduto di scherzare, di fare una prova. Ma chi ti compra la vita per un pizzico di polvere non scherza. Sa perfettamente quello che vuole e una volta stipulato il contratto, non ti lascia. Diventi il suo schiavo e la tua vita diventa una strada senza uscita. Quando Franco si era reso conto d'aver sottoscritto quel contratto, era troppo tardi. Quindici anni di lotta, di vagabondaggi, di inferno. Aveva conosciuto da poco tempo Isabel, una ragazza brasiliana, e quando questa gli aveva proposto di andare con lei in Brasile, aveva accettato.
Era affascinato dall'idea che aveva di quel paese tropicale, dai grandi spazi, dalla vegetazione lussureggiante, dai tramonti infuocati, dalla musica travolgente.
Aveva venduto l'auto che i genitori gli avevano da poco acquistato, per pagare il biglietto aereo, per sé e per Isabel e per avere qualche soldo in tasca. Non aveva le idee ben chiare su come si sarebbe guadagnato da vivere, una volta terminati i soldi.
Ma il Brasile che lo attendeva si era rivelato molto diverso da quello dei suoi sogni: si era trovato in un mondo di miseria, di povere baracche in cui la gente sopravviveva, di bambini nati e cresciuti per la strada, che imparavano a rubare e ad uccidere quando ancora avevano in bocca il sapore del latte materno. E quando i soldi terminarono, utilizzati per lo più nell'acquisto della " roba ", Franco si accorse che la sua fuga era terminata: anche quel tentativo di rompere il contratto sottoscritto quindici anni prima era fallito. E forse il virus che si annidava nel suo sangue, di cui era consapevole da anni, aveva incominciato a muoversi.
“Quando ebbe speso tutto… egli cominciò a trovarsi nel bisogno… Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava… Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio… " (Luca, 15, 11-19).
Sto male in questo paese. Il caldo tropicale mi opprime. Credevo che qua ci fosse il paradiso e invece ho trovato un inferno. Voglio tornare a casa… Mamma, papà aiutatemi. Non ho più nulla, mandatemi i soldi affinché mi possa pagare il passaggio per il ritorno; vi prego, è l'ultima volta che vi chiedo. Non ho altri che voi…
I genitori sentirono che il figlio da lontano le supplicava. Dopo tanti anni di amarezze, di lotte contro un nemico invisibile, di litigi, di angosce, sapevano che quella non sarebbe stata l'ultima volta… sapevano che poteva essere tutta una finzione: semplicemente Franco aveva bisogno di soldi per continuare a bucarsi. Sarebbe ricominciato tutto da capo. Ma sapevano anche che dovevano riavere il loro figlio, a qualsiasi costo. Non c'era colpa abbastanza grande o timore per il futuro che dovesse impedire loro di fare qualsiasi sacrificio pe riaverlo. E con grande sacrificio pagarono un biglietto aereo dal Brasile all'Italia.
"quando era ancora lontano, il padre lo vide e commosso gli corse incontro. Gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: - Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te… - ma il padre disse ai servi: - presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo… Mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato " (Luca, 15, 21-23).
Sono tornato da quell'inferno tropicale e pensavo di ritrovare la serenità, qua vicino ai miei genitori che mi vogliono bene, ma l'inferno è dentro di me. Non posso fare a meno di bucarmi; mio Dio sto male, chi mi aiuta? Devo farcela da solo?
Dal diario di Franco: " se vuoi che Dio conduca la tua vita non deve fare altro che dire: - Gesù Cristo, fino ad ora ho gestito io la mia vita, ma voglio rimetterla nelle tue mani affinché tu la conduca: tutto è possibile tramite la fede. Che tu chieda questo addio attraverso suo figlio Gesù Cristo, aprendo il tuo cuore a lui e riponendo tutta la tua fede in lui… Dio ti ama e ti offre un piano meraviglioso per la tua vita… Gesù Cristo è l'unica via per arrivare a Dio. Solo attraverso di lui tu potrai trovare l'amore di Dio e conoscere i suoi progetti per la tua vita " (31. 1. 91).
"La roba mi fa venire il prurito, le macchie e la febbre e sicuramente questo succede perché la roba all'istante mi intossica il sangue mi causa queste tre cose… lo so quello che devo fare: Basta! " (1.2. 91).
Franco sta lottando disperatamente per riuscire a non drogarsi, annota nel suo diario dei giorni in cui cede e i giorni in cui resiste.
"Se no addio lavoro, macchina, casa, ma solo febbre, prurito intossicante che mi provoca una grattarola così forte da indurmi a spaccare i capillari… Poi rimani da solo, scimmia, morte, senza nessuno…senza niente di niente, di niente… La cosa più importante è che non serve a niente cercare di risolvere i problemi, lavoro, macchina, salute… Cadendo nel baratro; perché così facendo soffrirò fino a morire, fisicamente e mentalmente " (7.2. 91).
"Ora per stare bene devo essere sicuro di non toccare nulla fino al 14 febbraio… Solo in caso di forte disturbo, una piccolissima punta, quella piccola dose che ho messo da parte… e così arrivare al mio compleanno senza più niente e così dal 14 e per sempre basta… " (8.2.91).
"Oh Gesù io voglio, io desidero che tu entri nella mia vita e possa finalmente gestirla; io ho perso molte forze… ma sono contento che tu sia finalmente in me… tutto questo però lo chiedo col cuore riponendo in te la mia fede, così che tu possa cancellare tutti i miei peccati ed io possa rinascere a nuova vita… Dio ha dei progetti meravigliosi per la nostra vita, tu chiedi e da lui potrai ottenere con la preghiera, la fede e la buona volontà ". (9.2.91).
"Le mie richieste a Gesù: - trovare lavoro - la salute - la macchina - smettere di usare sostanze anomale, droga e alcol. Solo se lo reputi giusto, ritrovare la mia ragazza. Le mie promesse: -comprare la Bibbia, leggerla, studiarla e capirla - non drogarsi più e non bere più, perché dilanierà il mio corpo e la mia mente, già così deboli - cominciare ad andare in chiesa alla domenica e magari due o tre volte durante la settimana, confessarmi e fare la comunione… con la Bibbia tutto cambierà " (10.2.91).
Questo è l'ultimo pensiero che appare sul diario di Franco. Seguono solo delle aride annotazioni dei giorni del mese, alcuni dei quali sono sottolineati. Le successioni dei giorni si ripetono quasi ossessivamente, con l'ossessiva sottolineatura dei giorni in cui Franco torna a drogarsi.
Ma frattanto compaiono sempre più frequenti il sintomi dell'AIDS e l'angoscia dell'ineluttabilità di una sorte già segnata s'impadroniscono di Franco. AIDS conclamata.
Ora so quale sarà la mia liberazione. Ho lottato inutilmente, ho pregato per riuscire a liberarmi dalla droga. Ora capisco ciò che mi è riservato. Non ce l'ho fatta lottando per la vita. Ce la farò con la morte.
Franco viene ricoverato in ospedale, nel reparto malattie infettive: tre piani, tante stanze, in ogni stanza tre letti. Viene colpito prima agli arti inferiori e poi alla vista. Continua a mantenere una grande consapevolezza del suo Stato ed una grande forza di carattere.
Non vuol morire in quel lazzaretto. Sa benissimo che gli anziani genitori non ce la farebbero ad assisterlo e curarlo da soli. Ma ecco si mette in moto la Provvidenza. Due diversi gruppi di volontari vengono coinvolti per interventi giornalieri. Fra questi c'è un medico ed un infermiere che trascorrono le serate, le domeniche correndo ad assistere gli ammalati più gravi e quelli che muoiono, senza chiedere nulla. La gente li chiama "I Santi”. Così Franco può tornare in quel modesto appartamento che, al ritorno dal Brasile, gli era parso una reggia.
I miei occhi si stanno offuscando, le mie membra non hanno più forza, la mia vita è legata a quel tubicino che mi porta un liquido nelle vene. Ora capisco quanto questi miei poveri genitori mi hanno amato e quanto io li ho fatti soffrire. Le mie labbra non sanno più chiedere nemmeno perdono. Mio Dio, basterà il dolore che mi sta divorando per riscattarmi dai miei errori?
I miei occhi si sono spenti del tutto, ma io so che ora ma io so vedrò la tua luce o signore. Le mie membra stanno morendo e le forze mi stanno abbandonando. Il mio corpo è infetto, è preda di ogni male, i germi lo stanno divorando.
Non sento più alcun dolore. Il mio corpo continua a lottare inutilmente contro il male che lo assedia e lo sta distruggendo. Ma io mi sento libero ormai e non mi resta che assistere a questa agonia, una lotta sorda tra il mio corpo e la morte. Al di là di questo tunnel c'è una luce immensa che mi attira. Il mio corpo è straziato, il respiro affannoso, il mio cuore batte ancora, ma non c'è più nessuna percezione fisica del dolore. Come se queste mie membra non mi appartenessero più.
Papà e mamma sussurrano: " E’ in coma". La loro angoscia è accresciuta dall'impotenza dinanzi al figlio che muore, dal ritmo affannoso del mio respiro. Si susseguono le visite brevi dei volontari, dei due “Santi”. Una carezza amorosa sul mio capo. È giunto il momento in cui si è interrotto ogni canale di comunicazione tra di me e gli altri. Fino a ieri i miei occhi ciechi potevano ancora tradire con una lacrima la commozione per ciò che sentivo, per ogni manifestazione d'amore. Ora non più. Non mi è concesso di rincuorarli, di dirgli che ora sto bene, che finalmente sono uscito dall'abisso, che ho raggiunto la pace, la serenità, la luce che cercavo disperatamente quando stavo giù in fondo. i “Santi”, loro sì, hanno capito, loro che mi ripulivano sorridendo, loro che sono abituati a vedere i fratelli che muoiono, come me.
Un venerdì sera, un volontario passa ancora per una visita a Franco, in coma ormai da alcuni giorni. Se ne sta andando in Emilia a trascorrere il fine settimana; non può più far nulla per aiutarlo se non assisterlo a morire. La mamma di Franco si ricorda di Carpi, dove aveva vissuto gli anni spensierati della giovinezza, quando mai avrebbe immaginato di poter un giorno soffrire tanto per quel suo unico figlio. " Me lo farebbe un piacere? Mi porterebbe due grappoli d'uva della sua campagna? "
Alla domenica pomeriggio, è il 6 ottobre 1991, quel volontario, mentre sta per ripartire dalla sua campagna, lì poco distante da Carpi, si ricorda della richiesta fatta dalla madre di Franco. Corre nei campi mentre piove a dirotto, stacca alcuni grappoli d'uva, di quella che serve per fare il lambrusco, la mette in un sacchetto. Quando giunge in città, ormai sera, prima di recarsi a casa, passa dalla casa di Franco.
Suona il campanello, sale una rampa di scale. La porta è socchiusa: si affacciano i genitori di Franco, il volto addolorato, ma sereno.
"È morto oggi pomeriggio alle quattro e mezza". Il volontario ha in mano il sacchetto coi grappoli d'uva, non sa più che farne, addolorato e imbarazzato. Si ricorda che proprio all'ora della morte di Franco, egli stava cogliendo quell'uva in campagna. Entra, appoggia il sacchetto sul tavolo della cucina e passa a vedere la salma di Franco. C'è Claudio, uno dei due “Santi”. Il volontario capisce che Claudio sta pregando.
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