how to create own website

Estate

Lauro Messori 1989

Non ci si ricordava, a memoria d'uomo, di un'estate così calda. La terra stava inaridendo e si aprivano crepacci, non solo nei campi della Geminiola, il che era normale, ma anche nei terreni meno argillosi circostanti. Le piante languivano, le foglie della vite sembravano mani rattrappite ed i grappoli d'uva ancora verdi non trovavano più la linfa dai tralci che avrebbero dovuto rigonfiarli e portarli alla maturazione.

I prati, dopo l'ultima falciatura dell'erba medica, erano rimasti rinsecchiti perché l'erba stentava a ricrescere; ed i filari di olmi che sorreggevano la vite erano ormai tutti pelati, dopo che i contadini erano passati a "fare la foglia" per il bestiame.

Le foglie di olmo erano un ottimo foraggio per le vacche, ma nonostante il ricorso a questo surrogato, in quell'estate la loro alimentazione era insufficiente a causa della scarsità d'erba dovuta alla siccità, per cui si era ridotta la produzione di latte. Le povere bestie per di più soffrivano il calore soffocante delle stalle, che non si rinfrescavano neppure di notte e ansimavano affannosamente.

Nelle ore più calde della giornata scendeva un silenzio opprimente sulla campagna: gli uccelli cessavano di cantare, nascosti tra il fogliame di qualche pioppo che si alzava qua e là lungo i fossi; ed i grilli se ne stavano rintanati nelle crepe del terreno e perfino le cicale si erano zittite. Le rane stavano acquattate nel fango delle poche pozzanghere rimaste nel Tresinaro, dove l'acqua non scorreva più, aspettando la sera per iniziare a gracchiare, quasi ad invocare la pioggia. Solo si sentiva il crepitare delle stoppie, come se un piede invisibile passasse sugli steli rimasti dopo la mietitura del grano e li spezzasse come esili cannucce di cristallo.

E su tutta la campagna il riverbero del sole produceva un tremolio come se il suolo fosse percorso da fiammate. Sembrava che il sole ogni giorno si abbassasse sempre più minaccioso sulla terra e prima o poi dovesse incendiarla. L'aria era immobile, quasi cristallizzata nella grande calura.

Però a mezzogiorno, proprio quando dal campanile di San Biagio giungevano i rintocchi dell'Angelus, si sentiva un lieve soffio d'aria: le foglie dei pioppi stormivano lievemente, gli uomini e gli animali sembravano rianimati per un attimo da un alito di vita. Mia madre diceva che in quel momento passava uno stuolo di angeli alati.

Tanti anni dopo avrei dovuto ricordarmi di quel soffio ristoratore, di quella lieve ebbrezza padana, quando, sperduto in una profonda e stretta valle scavata nei monti Zagros dell'Iran, impegnato nell'esplorazione geologica di quella regione, oppresso dal caldo di un mezzogiorno tropicale, dalla stanchezza e dalla sete, mi ero buttato per terra, riparandomi dal sole in una anfrattuosità della roccia e Aftabrushad che mi accompagnava, ed era un tipo giocherellone, aveva avuto la malaugurata idea di parlare di un bicchiere di birra ghiacciata, cosicché quell'immagine di un desiderio mi tormentava ancor più la gola, mentre stavamo centellinando l'ultimo sorso di acqua ormai bollente, rimasta nelle nostre borracce. Era stato allora che, quando tutto il mondo intorno a noi sembrava oppresso e paralizzato da un calore insopportabile, all'improvviso Aftabrushad ed io avevamo sentito un soffio d'aria percorrere la stretta valle facendo stormire leggermente le foglie degli arbusti abbarbicati sulle pareti rocciose. E a quel soffio ristoratore, mi ero ricordato di un battito d'ali invisibile che percorreva l'aria a mezzogiorno, nella lontana torrida estate nella campagna di San Biagio e sembrava dare un alito di vita alla terra riarsa dal sole.

A quell'ora gli uomini rientravano stanchi e sudati nelle case, si rinfrescavano la faccia e le braccia con un secchio d'acqua tirata su dal pozzo, si sedevano a tavola a mangiare un piatto di minestra con fagioli freschi appena colti nell'orto. E poi si riposavano nella penombra della casa fino a che il sole non fosse sceso un po' verso l'orizzonte; allorché i suoi raggi si erano fatti meno implacabili si potevano riprendere i lavori nei campi. La giornata terminava con gli ultimi lavori nelle stalle e la mungitura.

Chi passava sul ponte del Tresinaro presso la casa vecchia a quell'ora poteva sentire dei canti provenienti dalla stalla che, a giudicare dalla melodia, non sembrava potessero essere intonati da gente che era stata oppressa tutto il giorno dal caldo e dal lavoro nei campi.

Dopo tanti anni l’Ada può ricordarsi ancora di quelle belle cantate a più voci che lei intonava insieme con l'Irma e con Pietro, Mario e Gino, mentre seduti su uno sgabello e un secchio fra le ginocchia, erano occupati nella mungitura e quel lavoro diventava un riposo dopo le fatiche della giornata: la commozione m'assale al ricordo di un vecchio mondo scomparso insieme a qualcuno di quei personaggi che ora non c'è più.

Con quei canti scendeva dolce la sera e pareva di riprendere a respirare; i grilli uscivano dalla terra dando inizio al loro concerto notturno, le rondini sfrecciavano nei loro ultimi voli e le rane attaccavano a gracchiare in fondo al Tresinaro. Là in fondo alla Geminiola si accendevano i lumi a petrolio.

Dopo di allora nessuno più avrebbe udito, provenienti dalla casa vecchia, canti così armoniosi che narravano le storie amorose della bella Angiolina o di mazzolini di fiori che venivano dalla montagna.

PER SCARICARE QUESTO RACCONTO CLICCA QUI