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Il matto

Lauro Messori 1987

Dicevano che era matto; ma, ripensandoci ora, dopo tanti anni, mi viene il sospetto che lo fosse molto meno di tante altre persone che si ritengono sane di mente. Forse aveva vissuto soltanto nell'epoca sbagliata e nessuno, a quel tempo, l'aveva capito. Era una persona stravagante, diversa, secondo i canoni che definivano la "normalità" a quell'epoca. E poiché la diversità ha sempre fatto paura, l'attribuire una certa dose di pazzia agli altri, diventava, allora come ora, una forma di difesa per le persone cosiddette normali e benpensanti.


Quando si va a rovistare tra i ricordi molto lontani della nostra infanzia è difficile distinguere i fatti e gli oggetti che hanno costituito parte della nostra esperienza o visione diretta, da quelli che scaturiscono dal racconto degli altri. Così ora non so più quanto di ciò che sto raccontando faccia parte del mio ricordo diretto e quanto sia frutto di elaborazione del racconto degli altri. Quello che è certo è che il protagonista di questa storia, io devo averlo visto poche volte.


Il fatto stesso che si trattasse di un uomo imponente, quasi un gigante con una grande forza fisica, che camminasse per queste strade, in pieno inverno, in pantaloni corti e a torso nudo, incurante del freddo e perciò avesse la fama di essere matto, doveva suscitare una gran paura nei bambini che, al suo passaggio, spontaneamente o spinti dai genitori, andavano a nascondersi.


Abitava da queste parti, ai margini della Geminiola, però credo che abbia abitato per qualche tempo anche in manicomio, perché forse qualcuno, scandalizzato dai suoi comportamenti stravaganti e dai suoi discorsi, aveva ritenuto opportuno far intervenire le autorità per toglierlo dalla scena. Eppure non aveva mai fatto male a nessuno. Si limitava a correre per la campagna, a fare esercizi ginnici per tenere in forma i suoi muscoli e magari, in pieno inverno, con la neve e la galaverna, quando la temperatura era più inclemente, arrivare nel profondo sud della Geminiola continuando i suoi esercizi, restando con le sole mutande. Quella era la sua palestra.


Avrei dovuto ricordarmi di lui, tanti anni dopo, mentre mi trovavo in riva al mare al lido di Venezia in una fredda mattina autunnale, a praticare un saggio di esercizi Qi Gong, con un gruppo di persone, nell'ambito di un convegno su terapie non convenzionali. Si trattava di una delle tante tecniche psico-corporee di origine orientale, basate sul principio di ristabilire un equilibrio tra la mente e il corpo, da attuare possibilmente a contatto diretto con la natura. E avevo pensato a quel " matto" come ad un precursore, che oggi potrebbe riscuotere gli applausi di tanti naturisti, conducendo gruppi di persone alla ricerca della salute persa, lontano dallo stress della vita cittadina.


Allora era troppo presto per esternare certi comportamenti di vita. Eppure doveva aver acquisito una tale padronanza e controllo del proprio corpo fisico, con l'esercizio e la forza di volontà, da potersi tuffare nell'acqua ghiacciata, restarci per qualche istante e uscirne con muscoli tonificati. Più di una volta infatti era stato visto in qualche mattino d'inverno scendere nel Tresinaro, in quel tratto che è costeggiato dal vialetto che conduce al casino di Contaffavi, rompere il ghiaccio che si forma sulla superficie dell'acqua ed aveva uno spessore tale da consentire ai bambini di praticare una sorta di pattinaggio con i vecchi zoccoli di legno, tuffarsi sotto il ghiaccio e nuotare riemergendo qualche metro più in là da un'altra spaccatura.


Questi erano i grandi avvenimenti che lasciavano esterrefatto il mondo della Geminiola, quando non c'era la televisione, né la radio e nelle case dei contadini non giungevano nemmeno i giornali. O meglio, i giornali arrivavano, ma quelli vecchi, rimasti invenduti dal giornalaio, che si compravano a peso e servivano per accendere il fuoco o per incartare le uova o per altri usi che oggi sarebbero impropri.


Tutto un mondo tra quelle quattro case ed il Tresinaro e quanto accadeva veniva divulgato rapidamente da una casa all'altra e nulla si sapeva di quanto avveniva poco più in là, salvo quando giungeva qualche giramondo, che veniva ospitato nella stalla e incantava i bambini con storie provenienti da lontano, magari dal Veneto o dalla Toscana.


Il matto aveva capito l'importanza dell'informazione ed aveva tentato di comunicare ad altri le sue idee. Aveva scelto come palco la piazza di Correggio, nei giorni di mercato o alla domenica, e s'era trovato a sbraitare in mezzo ad un gruppo sparuto di contadini che lo sbeffeggiavano. Ma nessuno l'aveva capito. E forse proprio quelle sue iniziative avevano contribuito ad aprirgli le porte del manicomio. Da là aveva continuato nel suo tentativo di mandare qualche messaggio. Credo infatti che avesse pubblicato un libricino intitolato "Dal manicomio ", di cui ricordo di aver visto alcune pagine ingiallite nel cassetto di un vecchio comò. Per me allora, che avevo appena appreso i rudimenti dell'alfabeto, doveva apparire come un susseguirsi di frasi sconnesse e senza significato. Anche quelle pagine dovevano un giorno essere servite per accendere il fuoco della cucina.


Non so quali siano state le ultime vicende della sua vita. Quando scomparve, non se ne sentì più parlare. Rimase solo il ricordo di un essere stravagante capace solo di provocare il sorriso e lo scherno dei grandi, timore nei piccoli. Non ha lasciato tracce.


Nel mondo in cui viviamo attualmente, dominato dai ciarlatani che imperversano da tutti i canali della televisione resta soltanto il dubbio, in chi scrive, che il nostro protagonista invece, non fosse matto, ma che forse avesse molte cose da insegnare in un mondo che non era ancora preparato a recepire una sua filosofia di vita e non poteva capirlo.


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