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Le crepe

Lauro Messori 1987

Quando Martino era scomparso e tutti si erano messi a cercarlo, io avevo pensato che poteva essere caduto in uno di quei crepacci che d’estate si aprono nei campi della Geminiola. A causa della siccità e del calore del sole, infatti, l'argilla si spaccava in un reticolo di crepe come quelle che tanti anni dopo avrei potuto vedere in certe zone desertiche dell'Iran dove, per effetto del sole infuocato che seguiva ad un violento nubifragio, la distesa di fango creatasi con la pioggia si cuoceva in superficie in una crosta che si spaccava in tante figure poligonali concave verso l'alto. In Geminiola però le crepe e non si fermavano alla crosta del terreno, ma andavano molto più giù ed io pensavo che potessero arrivare al centro della terra.

Non per niente i miei mi ripetevano di stare attento e di non andare da solo in quei campi perché se cadevo dentro ad un crepaccio non ne sarei più uscito; tanto più che io, a quell'epoca, ero talmente sottile e mingherlino, che non ci voleva niente per infilarmi in una crepa e scivolare giù; anzi mi ricordo che proprio a causa del peso minimo, mio fratello più grande mi raccomandava sempre di aggrapparmi ai tronchi degli alberi quando soffiava il vento per non rischiare di essere portato via come una piuma, che poi chissà dove sarei finito!

Per tornare alla Geminiola, ero sempre stato un po' affascinato, un po' intimorito dall'idea di quello che si poteva nascondere nella profondità delle crepe, oltre alle zanzare che, all'ora del tramonto, uscivano e andavano in giro per tutta la campagna di San Biagio a tormentare i cristiani: sembrava che nelle crepe ci fosse la fabbrica delle zanzare. E non c'era niente da fare per scacciarle se non bruciare le scarpe vecchie fuori uso per fare del fumo. Le zanzare erano allergiche al fumo delle scarpe vecchie e così tornavano in Geminiola a nascondersi dentro le crepe.

Poi pensavo che là dentro si nascondessero chissà quali mostri, come la famosa “borda” che non sono mai riuscito a vedere: veniva sempre tirata in ballo dai grandi come spauracchio per far star buoni i bambini. Io me la raffiguravo come un marchingegno metallico, tipo robot, dalle dimensioni di una grossa zucca, che però, in realtà, non mi faceva molta paura.

Così quando quel tardo pomeriggio d'estate tutti gli altri cercavano Martino intorno alla casa vecchia, io avevo la convinzione che si fosse poco prima incamminato verso la Geminiola e là fosse stato inghiottito da una crepa da cui non sarebbe mai più tornato alla luce. Ma non avevo il coraggio di esprimere a nessuno il mio sospetto e, mentre cercavo di immaginare che cosa stava facendo là, dentro la terra, in mezzo a borde e zanzare, entro caverne grandi come la chiesa di San Biagio, lasciavo che gli altri lo cercassero nel fienile e nei fossi, in cantina e sopra i carri, in mezzo ai campi di granoturco e sugli alberi; anche sugli alberi, perché una volta era stato trovato addormentato proprio sul grande pero di Sant'Anna che stava presso il serraglio delle galline. Man mano che passava il tempo e le ricerche risultavano infruttuose, già qualcuno si chiedeva se non fosse il caso di prendere la bicicletta ed andare ad avvisare i carabinieri, mentre i vicini, a cui nel frattempo era giunta la voce della scomparsa di Martino, stavano collaborando nella ricerca rovistando nelle loro stalle e nei granai.

Io intanto, se non era per il buio che stava scendendo, sarei stato tentato di correre in Geminiola a chiamare Martino affacciandomi a tutte le crepe; ero sicuro che la mia voce lo avrebbe raggiunto propagata dall'eco che doveva formarsi nelle grandi caverne sotterranee, anche se nel frattempo si fosse già incamminato verso il centro della terra.

Fu proprio quando qualcuno già stava accendendo i lanternini a petrolio per proseguire le ricerche sugli alberi, dove ormai il buio non consentiva più di distinguere in mezzo al fogliame un ramo da un bambino addormentato, che la zia Nina, sempre più angosciata dovendo pur pensare a preparare la cena per le 18 bocche della famiglia, andò ad aprire l'armadio della cucina, dove si trovavano il paniere del pane e le tovaglie e l'olio e una montagna di panni vecchi da aggiustare. In mezzo alla roba vecchia in attesa di rammendi, Martino stava dormendo come un beato. In quel preciso istante il suo sonno innocente dovette essere bruscamente interrotto dalle sculacciate e dalle grida della zia Nina, che non le pareva vero di poter sfogare l'ansia e l'angoscia accumulate in quell'ultima ora di affannose ricerche.

Subito dopo, mentre la notizia del ritrovamento faceva interrompere le ricerche in casa e fuori fino ai più impensati nascondigli delle case dei vicini, si interruppe anche il mio fantasticare sull'avventura di Martino in fondo alle crepe della Geminiola. A quel punto pensai bene di andare a prendere una di quelle padelle che, durante l'inverno, riempite di braci coperte dalla cenere, si mettevano nel “prete” per scaldare i letti; ci andai a mettere alcune braci prese dal focolare della cucina e sopra le braci una di quelle scarpe troppe volte rappezzate e ormai inservibili, di cui ce n'era un mucchio. La scarpa, a contatto delle braci, incominciò a bruciare a fuoco morto, emanando una colonna sinuosa di fumo grigiastro.

Soddisfatto del risultato ottenuto incominciai ad incensare, con quel fumo acre, i nugoli di zanzare che stavano sopraggiungendo col buio: i battaglioni di insetti, irritati dell'accoglienza, non restò che fare marcia indietro e ritornare a rifugiarsi nelle crepe della Geminiola a far compagnia alle Borde.

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