Dal Makran iraniano, lungo la costa dell'Oceano Indiano, in prossimità del confine con il Pakistan.
E una giornata serena; il sole sale dal mare, tingendo prima il cielo di rosa ed illuminandolo poi d'azzurro. Aftabrushad, l'assistente geologo iraniano (lo chiamiamo brevemente Aftab che significa " sole") prepara la colazione nello zaino: appena una scatola di frutta sciroppata, una scatola di biscotti ed un po' di bevande. Dobbiamo andare a compiere una serie stratigrafica con prelievo di campioni di roccia, perciò dovremmo essere i più leggeri possibile per poter raccogliere un maggior numero di campioni da mettere nello stesso sacco. Sibil dovrà portarlo: è un ragazzo negro che lavora al nostro campo.
Ore 6:30: l'elicottero si alza in volo da campo e ci porta nella zona di lavoro. In 30 minuti compiamo circa 50 km. Indico al pilota il punto, sul greto di un fiume secco in cui dovrà venirci a riprendere nel pomeriggio e ci facciamo depositare lungo lo stesso fiume, più a Nord, fra le montagne. L'elicottero si rialza e torna al campo per portare altre due squadre in altre zone.
Iniziamo il rilevamento geologico della serie di rocce: Aftab prende le misure con lo strumento topografico, io prelevo i campioni annotando su un taccuino la successione delle rocce; Sibil sente il sacco a appesantirsi ad ogni sasso che vi pongo dentro. A mezzogiorno divoriamo le pesche sciroppata ed i biscotti: ci sfameremo del tutto al ritorno al campo, stasera. Riprendiamo il lavoro preoccupati di giungere in tempo al luogo fissato per l'elicottero. Fa caldo e si beve ogni tanto un sorso d'acqua dalle borracce. Lungo il fiume secco che percorriamo troviamo solo una pozza d'acqua salata.
Il sacco di campioni è ormai troppo pesante e lo portiamo un po' per uno, poiché Sibil non ce la farebbe da solo. Alle 15:30 arriviamo in un punto in cui il letto del fiume si allarga: c'è uno spiazzo pianeggiante e l'elicottero vi potrà atterrare. Prepariamo un po' di sterpaglia secca per accendere un fuoco. L'elicottero, dal fumo, potrà individuare meglio la nostra posizione. Sono quasi le 16; se l'elicottero non tornerà a prenderci dove passeremo la notte? Qua nel fiume, risponde Aftab. Scherziamo, naturalmente, non volendo ancora considerare tale eventualità. Però passano le 16 e l'elicottero dovrebbe essere già arrivato. Che sarà successo?
In ogni caso pensiamo al da farsi, qualora non dovesse arrivare. La zona è disabitata e deserta: non ho visto nessun villaggio nelle prossimità sorvolando l'area stamattina: quindi nessuna possibilità di trovare da mangiare; per di più non c'è acqua. Per ora quindi niente da fare se non rimanere dove siamo ad attendere che passi la notte.
Mi era capitato un'altra volta, un anno fa, di rimanere fuori una notte, insieme ad un collega italiano: ma quella volta fui più fortunato, poiché mi trovavo lungo un fiume in cui scorreva acqua. Per di più avevamo camminato fino a trovare un villaggio di capanne dove avevamo trovato da mangiare ed una coperta per dormire. Ora non abbiamo neppure acqua, a parte quel po' che è rimasto nelle borracce e che beviamo a gocce per farla durare di più.
Fa ormai buio e non c'è più speranza che l'elicottero arrivi; andiamo in giro a trovare rami secchi e sterpi per far fuoco durante la notte, per riscaldarci e per tenere lontano eventuali animali pericolosi. Dopo averne accatastati in quantità sufficiente, scegliamo un luogo in cui sdraiarci: c'è un po' di sabbia senza sassi, si potrà dormire. Accendiamo il fuoco e ci sdraiamo per terra, guardando il cielo. Sibil si addormenta subito; lui è abituato a dormire per terra. Ciò che non gli è andato a genio è rimanere a stomaco vuoto. Io e Aftab stabiliamo un programma per domani, finché siamo a mente serena. Osserviamo le foto-aeree della zona che ho con me (sono l'unica base di lavoro, poiché non esistono carte topografiche della regione): seguendo il fiume si dovrebbe arrivare in una zona probabilmente abitata poiché si vedono vegetazione e coltivazioni; forse vi sarà un villaggio di capanne. Se l'elicottero non giungerà entro le 6:30 del mattino, ci metteremo in cammino, scendendo lungo il fiume. Se tutto andrà bene, a mezzogiorno arriveremo in quella zona abitata. Per ora non c'è altro da fare che attendere che passi la notte.
Il cielo è ormai punteggiato da migliaia di stelle; proviamo a contarle tutte? Aftab conta quelle di una metà del cielo, io quelle dell'altra metà; mentre guardiamo, una delle più luminose sta muovendosi rispetto alle altre, da ovest verso est. Cosa significa questo? Sta oltrepassando la metà del cielo, ora io ne avrò una in meno da contare, Aftab una in più. No, non è una stella; penso sia uno di quei satelliti artificiali di cui ho sentito parlare. La seguiamo per 10 minuti finché scompare all'orizzonte: sarà ormai sull'India ed oltre.
L'aria sta diventando più fredda; ci avviciniamo al fuoco appoggiando la testa dove il terreno è un po' più alto. Sibil si rotola nel sonno, raggomitolandosi presso i rami che bruciano. Anche Aftab si addormenta: credo che abbia freddo poiché ha una camicia sottile. Io ho indossato un pullover che avevo nel sacco e che porto sempre con me, nonostante durante il giorno faccia caldo, nell'eventualità di qualche imprevisto del genere. Me lo levo e lo metto sulle spalle di Aftab; quando si sveglia, poco dopo, me lo ridà. Mi addormento anch'io, ma nel sonno, continuo a sentire la terra dura e fredda sotto il corpo; poi sento freddo alla schiena e mi rigiro, voltando le spalle al fuoco. Aftab ed io ci alterniamo nel sonno, ed il pullover passa dall'uno all'altro.
Com’è lenta la notte: sono appena le 22. Il silenzio del deserto è rotto ogni tanto da qualche ululato di sciacalli. Il cielo ruota lentamente e tutte le stelle si spostano insieme verso occidente.
La fame che sentivo prima così forte, si attenua; ogni 15-20 minuti mi sveglio, riattivo il fuoco con qualche ramo e mi butto per terra: mezzanotte, l'una, le due… i pensieri passano per la mente senza fermarsi ed i ricordi si mescolano ai sogni confusi ed alla consapevolezza del luogo in cui mi trovo.
Poi, dopo un tempo indefinibile vede il cielo rischiararsi a poco a poco da oriente.
Mettiamo su una roccia i sacchetti con i campioni raccolti ieri; pesano troppo per portarli, quindi ritorneremo a prenderli nei prossimi giorni con l'elicottero. Prendiamo su le borracce (c'è ancora un po' d'acqua), carte, macchine fotografiche, martello, bussola, altimetro e teodolite e ci avviamo lungo il letto del fiume secco, camminando fra i sassi. Il sole non è ancora entrato nella valle e l'aria è fresca. Poco dopo troviamo una pozza d'acqua lungo il fiume; forse possiamo riempire le borracce ed essere tranquilli per tutto il giorno: no, è salatissima, assolutamente imbevibile. Continuiamo a camminare; ci sentiamo un po' deboli. In condizioni normali ho camminato, a volte, anche 20 km in una giornata, facendo rilievi geologici; ma ora, a digiuno, fino a quando potrò durare? Il sole scende dal pendio del monte ed arriva a noi, fa già caldo.
Il letto del fiume si allarga; io cammino da un lato, Aftab e Sibil dall'altro: ad un certo punto Aftab grida: " c'è acqua! " Accorro anch'io: c'è una bella pozza d'acqua limpida. Non è salata ed è buona da bere. Riempiamo le borracce e beviamo a volontà, poi ci rinfreschiamo la faccia e ci riposiamo per 10 minuti. Alle 7:40 ci rimettiamo in marcia. Si vedono tracce di capre, poi di mucche lungo il fiume. Se qualche gregge è arrivato fin qua, vi deve essere qualche villaggio poco lontano; ed ecco le impronte delle zampe di un cammello e le orme di un uomo. Sono passati da non più di due o tre giorni.
Ci sentiamo sempre più sfiniti; il digiuno condiziona le nostre forze, i piedi diventano di piombo, la macchina fotografica, la borraccia, la borsa con gli strumenti, pesano sempre di più. Incomincia a dolermi la schiena, ritorna la sete. Non si vede un'anima; eppure le tracce di greggi di uomini diventano più frequenti, c'è quasi un sentiero.
Che sarà successo al campo? Forse niente di grave. L'elicottero per qualche motivo non avrà più potuto volare. Ma chi ci pensa più ora all'elicottero? L'importante è trovare il cibo e poi riposare.
Controllo il percorso con la foto-aerea della zona. Ci avviciniamo lentamente ad un'area in cui, dalla foto, sembra esservi un'oasi; ma camminare diventa sempre più difficile. Arriviamo all'ombra di un albero e ci buttiamo per terra. È difficile rialzarsi ma bisogna camminare. Fa molto caldo ormai, la testa gira, provo a contare i passi sul terreno bianco, arido, deserto. Dopo 20 minuti l'ombra di un altro albero, siamo di nuovo per terra. Si è colti da uno strano torpore e si prova il desiderio di non rialzarsi più.
Povero Sibil, è un ragazzo appena; questa vita per guadagnare soli 80 reali al giorno: eppure è più forte di noi. E lui a proporre sempre di rialzarci: “Berim…. (andiamo): dice che troveremo presto un villaggio: è un discendente degli antichi schiavi negri portati dall'Africa alla costa meridionale della Persia.
Ci avviciniamo all'oasi, guardiamo tutte le piante, per cercarvi dei frutti; troviamo su una delle bacche asprigne, che comunque rosicchiano avidamente. Ci sentiamo subito meglio e riprendiamo il cammino. Poco dopo ci sembra di vedere delle capanne. Forse saranno disabitate. No, si vede della gente, delle donne e dei bambini; intorno alcune capre. Sembra un sogno e ci sentiamo rianimati. E la salvezza; ora non m'importa più di niente, avremo da mangiare, poi riposeremo.
"Salam alecum, teian jure? Khub jure? Ameh jure? Salam etiba… e così via. Sono i soliti rituali di saluto. Ci sediamo per terra all'ombra di una capanne e chiediamo da mangiare; ho solo un timore: che ci portino delle cavallette, che è uno dei cibi prelibati per queste popolazioni. Ma non hanno niente; solo un po' di datteri che mangiamo avidamente fino ad essere sazi. Non vi sono polli ed acquistiamo un montone. Lo facciamo scuoiare rapidamente, poi ci diamo da fare per arrostirlo. Sibil accende un fuoco; tagliamo la carne ancora tiepida in pezzi e la infiliamo su dei bastoncini appuntiti che mettiamo sulle braci. Dopo pochi minuti possiamo mangiarla.
Saziato lo stomaco, ormai incuranti di tutto il resto, veniamo presi da un pesante torpore e ci accasciamo per terra a dormire. Veniamo svegliati dopo un tempo indefinibile dalle voci di gente in arrivo e da quelle del villaggio. Sono le 14:30: è arrivata una carovana di cammelli. Alcune delle voci sono familiari; sono quelle di Luigi e Tabrizi, i nostri colleghi, che giungono dal campo alla nostra ricerca. Grande gioia, poi iniziano le domande e le spiegazioni.
L'elicottero ieri mattina dopo averci trasportato in zona non ha più potuto riprendere il volo dal campo, a causa di un guasto al motore. In collegamento radio con gli uffici di Teheran era stato deciso l'invio immediato di un aereo con un tecnico per l'elicottero, che però sarebbe arrivato non prima della sera, per cui Luigi e Tabrizi erano partiti dal campo all'alba con una carovana di cammelli in nostro soccorso. Eccoci ritrovati; dopo un po' di riposo ci metteremo in cammino verso il nostro campo base.
Alle 17 è quasi buio; a dorso di cammello stiamo attraversando le montagne non molto alte, ma piuttosto impervie: la luna ci rischiara la via, ma fra due ore sarà tramontata. Sta venendo da sud, verso di noi, una coltre nera di nubi, si sente in distanza il brontolio del tuono. I cammelli riescono a seguire il sentiero anche quando noi non lo vediamo più, ma occorreranno ancora quattro o cinque ore prima di giungere alla piana dove ci aspettano due jeep.
Valichiamo i monti di argilla biancastra e ridiscendiamo verso sud lungo il letto di un fiume secco: i fiumi delle regioni desertiche sono generalmente secchi salvo riempirsi improvvisamente d'acqua quando piove. Qualcuno dice che occorre accelerare il cammino per non essere sorpresi dal temporale mentre percorriamo il fiume. Il cielo infatti si fa sempre più nero; poi gli uomini che ci accompagnano incominciano a gridare. I cammelli corrono lungo il sentiero buio; sento delle gocce d'acqua sulla fronte. Il temporale è sopra di noi e dobbiamo correre il più possibile. Incomincia a piovere, il cielo è completamente nero e non si riesce più a vedere un palmo dal naso; vi sono due torce elettriche a portata di mano e si cerca di far luce ai cammelli come si può. L'acqua scroscia sempre più forte, i cammelli non trovano più il sentiero e si fermano smarriti emettendo dei muggiti. L'acqua penetra nella camicia, la sento scorrere gelata sulla pelle; il vento soffia impetuoso. Che fare, dove andare? Non c'è nessun riparo e non resta che aspettare dove si è. Si accende un lampo; la luce accecante, azzurra, rischiara una scena surreale, fantastica: le rocce nude, metalliche che riflettono la luce dalle nuvole grigie, la sabbia azzurra del fiume, pochi arbusti scheletrici, le ombre nere dei monti: in mezzo la nostra piccola carovana. È un attimo ed il buio riavvolge ogni cosa.
Dopo lo smarrimento, con la poca luce delle torce è possibile riprendere il cammino. L'acqua continua a scrosciare, i primi rigagnoli scorrono sul letto del fiume. Ci troviamo ancora fra le montagne dove il percorso obbligato corrisponde al greto del fiume e se non usciamo in fretta rischiamo d'essere travolti dall'onda di piena; il tempo sembra non passare più, l'acqua e il freddo penetrano nella carne, nelle ossa. A poco a poco la pioggia diminuisce d'intensità, dal cielo sembra giungere una debole luce. Un'ora, due: finalmente giungiamo alla piana ed usciamo dal fiume.
Rabbrividisco e ripenso che è la seconda notte che passa all'addiaccio in poco tempo. Sto sognando il letto della mia tenda con il materasso, le lenzuola e le coperte calde. Alle 22 arriviamo a Waznam, un villaggio dove ci attendono le jeep per riportarci al campo: ci vorranno ancora due ore di marcia. Non è possibile continuare il viaggio in queste condizioni, poiché stiamo tremando di freddo. Entriamo in una capanna di fango dove è acceso un fuoco. Ci si asciuga alla meglio la camicia, si mangia un po' di carne arrostita, poi ci si mette in marcia con le due jeep. Mi sento vincere dal sonno e poco dopo la testa mi cade sul petto. Delle immagini passano nella mia mente accompagnata dal rumore del motore. Ad ogni scossa alzo la testa e vedo un mare di fango nero su cui scivola la jeep. Quanto tempo passa non lo so; poi le due jeep si arrestano presso alcune capanne. Riconosco il villaggio di Kambel: com'è possibile? In un attimo mi rendo conto che abbiamo perduto la pista, correndo nella direzione opposta a quella giusta; stiamo andando verso est anziché verso ovest. Ritorniamo indietro, ma non resisto al la stanchezza e mi riaddormento. Istintivamente rialzo il capo ogni volta che sto per batterlo contro il cruscotto della jeep. Ed ogni volta vedo la stessa scena illuminata dai fari: una distesa di fango su cui continua a cadere la pioggia.
Passa ancora un tempo di cui perdo la nozione, mentre nel sonno si susseguono immagini di una casa, di un letto. Per un attimo mi appaiono le luci dei presepi e degli alberi di Natale, le strade delle città italiane illuminate, le chiese dove si celebrano i riti della Natività, la gente che si affanna in giro per acquistare regali.
Mi sveglio completamente quando le jeep sono di nuovo ferme presso alcuni spuntoni di roccia. Dobbiamo aver nuovamente sbagliato: chissà dove saremo ora? Tutto intorno è buio pesto. Il cielo è nero come l'inchiostro. Un'idea: guardo la bussola e mi accorgo che siamo rivolti verso sud. Non c'è altro da fare che riprendere la marcia verso ovest controllandola continuamente con la bussola.
Piove, piove, il freddo penetra sempre più nelle ossa a causa dei miei vestiti ancora bagnati, il deserto è un mare di fango su cui le jeep scivolano come motoscafi sull'acqua, ma le ruote girano sempre più faticosamente poiché il fondo duro si sta sciogliendo in fango, mentre il motore è tenuto continuamente accelerato: se ci si ferma rischiamo di non ripartire. Continuo a sognare il letto della mia tenda con le coperte ed il sacco a pelo e all'idea di restare tutta la notte in quel fango mi fa rabbrividire maggiormente.
Abbiamo finalmente ritrovato la pista; giungiamo al mare che si è gonfiato tanto da invadere la pista stessa, che da quel punto corre lungo la costa fino al campo. Le jeep procedono in mezzo alle onde. Risaliamo la costa ad entriamo nel villaggio di Chabahar; al di là del villaggio, vicino al mare, c'è il nostro campo base. Finalmente dopo due notti potrò stendermi nel mio letto, mi toglierò i panni bagnati mi butterò fra le coperte, al caldo.
Dappertutto vi sono tracce di un uragano che è passato da poco; ora non piove più. Sono assalito da un presentimento e non vedo l'ora di giungere al campo. Sono le 2:30 di notte. Ecco la luce di una lampada a cherosene, l'ombra di qualche tenda, l'elicottero da un lato. Ma non riconosco più il campo; è accaduto ciò che temevo: l'uragano lo ha semidistrutto. Mancano alcune tende, altre sono afflosciate per terra in un lago d'acqua. Le" canadesi" (piccole tende individuali) sono strappate, divelte, abbattute, trascinate via. Angelo mi viene incontro con una bottiglia di vodka per riscaldarmi, ne bevo alcuni sorsi come se fosse acqua. Poi mi dirigo verso la mia tenda: è ancora in piedi anche se inclinata da un lato con qualche picchetto divelto, apro la cerniera e ritrovo la torcia elettrica. La tenda è piena d'acqua, il letto che tanto sognato è fradicio. Parte del bagaglio che era per terra è stato ammucchiato sul tavolino. Ho tanta voglia di dormire ed ora tenda e letto sono inservibili; riesco a trovare un maglione ed un paio di pantaloni asciutti e mi cambio i panni bagnati. I miei colleghi si sono messi a dormire nelle tende grandi che servono da cucina e magazzino, le uniche che hanno resistito all'uragano. Mi butto anch'io per terra insieme agli altri dentro ad un sacco a pelo e cado in un sonno profondo.
Mi sveglio col sole. È la vigilia di Natale. La visione del campo ridotto ad un ammasso di tele gialle ed azzurre al suolo è sconsolante. Appena consumata una rapida colazione ci mettiamo subito tutti al lavoro per risistemare il campo. Il sole che riappare fra le nubi asciuga letti, coperte, panni.
L'elicottero è di nuovo funzionante ed in mattinata l'aereo può ripartire per Abadan con il meccanico che lo ha riparato. Con l'aereo sono giunti panettoni, spumante, vodka e cognac per festeggiare il Natale.
A sera il campo è di nuovo in piedi e non ci par vero. Il cielo è azzurro; il sole cade nel mare incendiandolo e colorando il cielo di rosso e oro. Da oriente sale l'ombra della notte turchina, violacea, poi nera; e la falce della luna sosta un attimo nel cielo prima di avviarsi verso l'oceano, inseguendo gli ultimi bagliori del sole.
Domani è Natale; sarà una giornata splendida. Passato l'uragano potremo tuffarci in mare.
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