Di buon'ora arriva l'elicottero nel nostro campo, sui monti Zagros, per trasportarci nella zona di lavoro. Tabrizi, il mio assistente iraniano, ed io siamo pronti per raggiungere una zona impervia in cui compiremo lo studio di una serie stratigrafica. Date le difficoltà di volo e soprattutto di decollo ad alta quota (siamo quasi a 2000 metri), raggiungiamo, in due voli successivi, le pendici di una montagna, allungata da NO a SE, a forma di dorsale, tagliata trasversalmente da una profonda e stretta gola, detta "Tang” in lingua persiana. La montagna è costituita da una serie di strati calcarei, piegati ad anticlinali, che affiorano per un notevole spessore nella Tang. Dobbiamo entrare in questa forra, fino al nucleo della montagna, per studiare la serie di calcari, misurandone lo spessore e prelevando dei campioni, che poi verranno esaminati in laboratorio.
Fissiamo con il pilota dell'elicottero l'ora in cui tornerà a prelevarci nel pomeriggio, nello stesso luogo, dopo di che ci accingiamo ad entrare nella strettoia, mentre l'elicottero riparte per tornare al campo.
Sopraggiungono alcuni uomini, accorsi al rumore dell'elicottero, hanno un aspetto molto primitivo e sembrano gli uomini più miseri dello Zagros e forse della Persia. Forse vengono a proposito e gli chiediamo di accompagnarci aiutandoci a portare gli zaini, in cui abbiamo la colazione ed in cui porre i campioni di roccia. Si rifiutano. Perché? Dicono che è pericoloso entrare nella Tang: vi sono orsi e leopardi e noi non abbiamo armi. Avranno veramente paura di questi animali? Li compenseremo con del denaro. Quanto? 100 reali per ognuno. Alcuni scuotono la testa, ma due di loro sembrano riflettere. Quanto saranno 100 reali? Certamente molto per loro. Accettano.
Entriamo nella Tang. Seguendo per un certo tratto il torrente che vi scorre sul fondo. Poi le pareti rocciose diventano verticali lungo il corso d'acqua che è interrotto da strapiombi. Non possiamo proseguire per il fondo della gola e ci arrampichiamo lungo un fianco per trovare un passaggio. Riusciamo a proseguire aggrappandoci di tanto in tanto alle sporgenze rocciose o saltando dall'una all'altra. Tabrizi scivola nel compiere un salto e resta immobile per un po' di tempo con un piede dolorante.
"Ieri un uomo di qua è entrato per la stessa via con un fucile e stava per essere assalito da un orso; l’ha ucciso sparandogli da pochi metri". Così dicono le nostre guide; fra poco potremo vedere la bestia uccisa. Infatti su di un ghiaione troviamo il corpo di un orso ormai in putrefazione: per oltre 20 m vi sono tracce di sangue sulle rocce.
Il cammino si fa sempre più difficile; bisogna aggrapparsi con le mani alle rocce appuntite. Non ho preso i guanti e sento le mani indolenzite.
Il nucleo della montagna, in cui vengono a giorno gli strati più antichi, è inaccessibile. Non resta altro da fare che compiere una valutazione approssimata dello spessore degli strati ai quali non possiamo giungere; all'aspetto sono tutti calcari. Dal punto in cui siamo arrivati iniziamo la campionatura e la misura degli spessori, ripercorrendo a ritroso lo stesso cammino. I due portatori ci chiedono perché portiamo via dei sassi dalla Tang. Cerchiamo di spiegare loro scopo del nostro lavoro; ma non sembrano convinti. Noi stiamo compiendo una stregoneria, poiché portiamo via i segreti dello spirito della loro Tang.
Il lavoro è molto faticoso ed il caldo si fa soffocante; si deve strisciare da una roccia all'altra lungo le pareti della Tang. Un piede in fallo potrebbe farci precipitare verso il fondo della gola dove scorre rumoroso il torrente. Sostiamo dove c'è un piccolo ripiano per riposare. Tabrizi spinge un grosso masso che precipita lungo la parete con un boato che si perde nel frastuono dell'acqua che scorre là in fondo; l’eco si ripercuote da una parte all'altra della Tang.
Riprendiamo lo studio della serie senza fermarci per la colazione; penseremo a mangiare al termine del lavoro. Continuo a prendere appunti o a battere col martello sulla roccia per staccare campioni di dimensioni giuste. Tabrizi mi aiuta ad effettuare la misura degli spessori degli strati. Finalmente ridiscendiamo al torrente dove la Tang si apre nella valle da cui siamo partiti. Ci rinfreschiamo e vediamo l'acqua che scorre ai nostri piedi.
Ci avviciniamo al luogo in cui stamattina l'elicottero ci ha depositati, consegnamo la ricompensa pattuita ai due portatori e ci mettiamo a mangiare: un po' di carne in scatola, biscotti e frutta sciroppata. Siamo circondati da un gruppo di uomini e ragazzi che si accovacciano per terra ad osservarci; un po' più distanti le donne, la maggior parte con evidenti segni di gravidanza e con i bambini al collo.
Inizia una discussione accesa fra questa gente è Tabrizi, che io non riesco seguire. M'accorgo che alludono frequentemente a me, mi indicano e mi guardano. Più tardi Tabrizi mi tradurrà il colloquio.
- Che state mangiando? - Formaggio
- Di quel colore? - Sì, è una specialità straniera
- Chi è quell'uomo e perché viene qua? - È italiano, compie ricerche geologiche per una società petrolifera
- E’un infedele? - Non lo so
- Voi avete preso dei sassi da questo Tang e questa è una stregoneria. Che faresti tu se uccidessimo il tuo amico straniero? - Per quale motivo vorreste farlo?
- Noi pensiamo che lui non sia circonciso. (Nota: per i musulmani è d'obbligo la circoncisione).
- E tu che sei iraniano sei circonciso? - Certo che lo sono come voi.
- Vogliamo vederti. - Ma non è possibile: vi sono le vostre donne, sarebbe sconveniente.
Qualcuno sghignazza: - Ti porteremo una delle nostre donne.
La situazione si fa sempre più difficile anche per Tabrizi, che si dà il caso che non sia musulmano, bensì cristiano e non circonciso: Ma io non riesco ancora a rendermi conto di quanto succede. Frattanto una bambina, dal viso bellissimo, si avvicina. Porta una lunga veste nera a fiori rossi ornata con ricami rossi al bordo, al collo e alle maniche. Anche il capo è ricoperto e si vede solo il viso.
Prendo la macchina fotografica e scatto una foto. Mi accorgo subito d'avere commesso un errore. Un uomo mi si avvicina e cerca di capire che cosa ho fatto. Certo sto compiendo altre stregonerie con quell'apparecchio, se attraverso di esso guardo le loro donne. Tabrizi riesce con fatica spiegargli di che cosa si tratta realmente e l'uomo vuol vedere attraverso il mirino della macchina come facevo io. Sembra deluso.
Ad evitare altri problemi caccio la macchina fotografica dentro lo zaino, mi avvicino a Tabrizi e guardo l'orologio. Attendiamo con ansia l'arrivo dell'elicottero. Tabrizi insiste perché parta prima io, dice che solo con quella gente, di cui non conosco la lingua, non saprei come cavarmela. Lui cerca di parlarmi sorridendo, ma mi accorgo che il suo volto è molto teso e il sorriso è solo un tentativo di mascherare una situazione drammatica.
Pur non conoscendo ancora i termini del colloquio che prosegue tra lui e gli uomini che ci attorniano, mi rendo conto che stiamo correndo un pericolo grave. Ne ho un riscontro osservando le facce di alcuni di quegli uomini, che solo ora mi accorgo che hanno un aspetto minaccioso.
Tante volte, dopo di allora, avrei dovuto ricordarmi di quel momento: ogni qualvolta mi fosse capitato di osservare come spesso gli odi, le antipatie, l’avversione, il rifiuto, la mancanza d'amore verso gli altri, non sono dovuti che all'ignoranza, alla mancata conoscenza degli altri, al rifiuto di accettare quelli che sono diversi da noi, al rifiuto di accettare come nostri fratelli quelli che professano una diversa religione, hanno una diversa cultura, un colore diverso della pelle, o semplicemente hanno una convinzione della vita diversa dalla nostra. Per questa gente noi eravamo diversi e quindi potenziali nemici.
Speriamo che l'elicottero giunga al più presto per toglierci da una situazione che sta diventando sempre più critica. Io propongo a Tabrizi di partire insieme, non appena l'elicottero sarà giunto. Infatti lo spiazzo su cui si poserà è abbastanza ampio, non dovrebbero esserci problemi per il decollo.
Finalmente si ode un rumore da lontano. Tutti a guardare in alto verso occidente. Affascinati ed intimoriti da questo apparecchio che scende dal cielo e che non avevano mai visto prima d'allora, sembrano aver tutti dimenticato i loro propositi nei nostri riguardi e si allontanano prudenzialmente dal luogo in cui l'elicottero si appoggia, sollevando una nuvola di polvere; le donne vanno a nascondersi dietro ai cespugli. Tabrizi ed io, dopo esserci caricati sulle spalle gli zaini pieni di sassi, corriamo verso l'elicottero. Il pilota dice che le condizioni atmosferiche sono buone e ce la farà a portarci via insieme. Saltiamo su e ci allacciano le cinture di sicurezza.
Il motore è spinto al massimo, un rumore assordante. Le pale dell'elicottero girano vorticosamente. I cespugli intorno, per un raggio di una cinquantina di metri, sembrano investiti da un tornado. Finalmente il pilota aziona una leva e l'elicottero si stacca all'improvviso dal suolo. Guadagna quota con fatica e sfiora le chiome degli alberi prima di potersi lanciare verso l'alto. Ora possiamo respirare. Guardo verso terra dove tutta la gente che poco fa ci attorniava, è accorsa sullo spiazzo da cui siamo decollati ed alza le braccia verso di noi. Tabrizi emette un profondo sospiro di sollievo e si appoggia, finalmente rilassato, allo schienale del suo sedile. Poi mi traduce in inglese la conversazione di poc'anzi con la gente del luogo. Non ho il tempo di avere paura: il pericolo è già passato!
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